Società di investimento
Le previsioni economiche e di mercato a lungo termine occupano molto spazio nelle pubblicazioni finanziarie recensite da Fisher Investments Italia. In base alla nostra esperienza, sono molti i lettori che desiderano sapere cosa accadrà in futuro e di conseguenza le organizzazioni che cercano di rispondere a tale curiosità abbondano. Tuttavia, dal nostro punto di vista, le analisi che tentano di predire il futuro lontano sono di scarsa utilità per gli investitori.
Le fonti di queste analisi sono varie e molteplici, dalle agenzie governative alle organizzazioni sovranazionali, dalle istituzioni di politica monetaria alle società di ricerca private, e molte di esse attirano un forte interesse nei commenti finanziari recensiti da Fisher Investments Italia. Alcuni esempi di alto profilo: le previsioni sul debito pubblico dell’Office for Budget Responsibility (OBR) britannico; il “World Economic Outlook” del Fondo Monetario Internazionale; e le proiezioni sull’inflazione delle principali istituzioni di politica monetaria. Precisiamo che la nostra opinione circa l’utilità limitata delle previsioni a lungo termine è di carattere generale e non si applica a una relazione, a un’agenzia o a un’organizzazione in particolare.
In base alle nostre ricerche, alcune credenze comuni sono tipicamente alla base di queste previsioni, che tendono a proiettare nel futuro la situazione attuale, un esercizio di matematica lineare che presuppone che le condizioni recenti e/o le medie storiche saranno valide anche più avanti.
Non stiamo dicendo che utilizzare i dati storici per stimare probabilità future sia inutile, ma l’esperienza di Fisher Investments Italia ci insegna che la vita reale non è né semplice né lineare. Ad esempio, nel suo Economic and Fiscal Outlook del marzo 2017, l’OBR ha basato le sue proiezioni sul tasso d’inflazione dell’Indice dei prezzi al consumo (CPI) su una serie di ipotesi, tra cui un prezzo del greggio Brent (il parametro di riferimento per il prezzo del petrolio a livello mondiale) intorno ai 60 dollari al barile fino al 2022, proiettando la situazione allora prevalente nel futuro.
In realtà, però, i prezzi del petrolio sono aumentati nel 2017 e nel 2018, superando gli 85 dollari al barile nell’autunno del 2018. Il petrolio è poi crollato nel 2020, quando i lockdown globali legati alla pandemia ne hanno ridotto drasticamente la domanda, per poi schizzare ben oltre i 100 dollari al barile nel 2022, quando la guerra in Ucraina e le sanzioni contro la Russia hanno sollevato timori di una carenza di offerta a livello globale. Questo non è l’unico motivo per cui l’inflazione dei prezzi al consumo del Regno Unito non ha rispecchiato le proiezioni dell’OBR di un tasso annuo costante del 2,0% dal 2019 in poi (e su questo approccio concettuale noi di Fisher Investments Italia abbiamo qualche riserva) ma pensiamo che sia giusto presumere che abbia contribuito.
Consideriamo, come altro esempio, l’“Annual Energy Outlook: 2025” dell’Energy Information Administration statunitense (EIA), che ha condiviso diversi scenari di domanda e offerta di petrolio a livello mondiale per il 2025, basati in gran parte sulla produzione ipotizzata dall’OPEC. Come si legge nel rapporto, “si presume che i Paesi membri dell’OPEC siano la fonte principale dell’offerta marginale necessaria a soddisfare gli aumenti della domanda; di conseguenza, la produzione dei Paesi membri dell’OPEC varia maggiormente rispetto a quella dei Paesi non appartenenti all’OPEC in risposta alle variazioni della domanda.” L'EIA ha ipotizzato che l’OPEC avrebbe prodotto 30,6 milioni di barili al giorno (mbpd) nel 2005 per arrivare a 55,1 mbpd nel 2025, ipotizzando un aumento annuale costante del 2,7%. Tornando al presente, l’OPEC+ (che include Paesi non membri come la Russia) ha prodotto 35,7 milioni di barili al giorno l’anno scorso, una cifra ben lontana dalle previsioni del 2005.
Questi esempi estremi dimostrano che è impossibile prevedere il futuro lontano. Molte cose possono cambiare. Formulare previsioni accurate con molti anni di anticipo significa poter prevedere il comportamento umano, la domanda dei consumatori, i trend della produzione, le decisioni dei politici e gli sviluppi tecnologici a lungo termine, oltre a tutto quello che ciò comporta in termini di imprevisti. Fisher Investments Italia ritiene che nessuna previsione elaborata oggi sia in grado di tenere conto di questi cambiamenti.
Un altro esempio: le previsioni sul picco del petrolio. La teoria originale del picco del petrolio, che ha preso piede a metà del XX secolo, sosteneva che la produzione globale di greggio, un bene finito, prima o poi sarebbe entrata in una fase di “declino finale”. Questo avrebbe causato un aumento dei prezzi in conseguenza della diminuzione dell’offerta. Il picco del petrolio, però, non si è materializzato, grazie anche a innovazioni impreviste, in primis la rivoluzione del petrolio di scisto americana, che ha visto i produttori statunitensi investire nella tecnologia e nei processi (fratturazione idraulica e trivellazione orizzontale) per accedere a vaste riserve di petrolio di scisto, aumentando in modo sostanziale l’offerta globale di greggio.
Alcuni commentatori seguiti da Fisher Investments Italia sostengono ora che il picco della domanda sia imminente e che il consumo di petrolio diminuirà in ragione della preferenza dei consumatori per le tecnologie a bassa emissione di carbonio. Certo, è ragionevole pensare che, a un certo punto, una risorsa limitata finirà per esaurirsi via via che l’offerta diminuisce e la società si orienta verso nuove alternative. Tuttavia, siamo dell’idea che le previsioni a lungo termine che anticipano questo risultato, e in particolare gli effetti negativi ad esso associati, non si siano ancora avverate perché non sono in grado di stimare con precisione le modalità di adattamento dei produttori e dei consumatori.
Fisher Investments Italia ritiene che gli investitori farebbero bene a non utilizzare le previsioni a lungo termine nell’ambito del loro processo decisionale di investimento. Anche se queste previsioni si rivelassero corrette, aspettare anni e anni affinché si realizzino potrebbe comportare un elevato costo opportunità (il valore di ciò a cui si rinuncia per fare qualcos’altro).
Cosa succederebbe se un investitore evitasse i titoli di un’area con previsioni economiche deboli nel lungo periodo? I titoli azionari della regione potrebbero registrare periodi di sovraperformance prima dell’inizio della presunta fase di debolezza. E anche se le previsioni dovessero avverarsi, le azioni, che, come sappiamo, scontano e riflettono informazioni ampiamente note (comprese le prospettive pubblicizzate), non devono necessariamente risentirne. La debolezza delle previsioni potrebbe causare un deterioramento del sentiment nei confronti dell’area, creando un proverbiale “muro della paura” sempre più alto.
Oppure pensiamo a un investitore del XXI secolo che voleva evitare i titoli energetici sulla base delle previsioni sul picco del petrolio. Queste previsioni non si sono ancora avverate e i titoli energetici hanno sovraperformato i titoli globali in 12 degli ultimi 25 anni: ciò significa che agire sulla base di una previsione non ancora avveratasi porterebbe farvi perdere rendimenti. Secondo Fisher Investments Italia, gli investitori possono trarre vantaggio solo concentrandosi su un orizzonte di 3-30 mesi, oltre tale periodo è impossibile sapere cosa accadrà.
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