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Perché Fisher Investments Italia non teme la crescita economica lenta

Il sentiment degli investitori è cambiato dal 2021, con timori per la variante Delta. Fisher Investments Italia analizza l’impatto della crescita economica lenta sui mercati azionari.
Indicatore di misurazione con lancetta rossa su scala colorata.

Stando al tono delle notizie finanziarie, il sentiment degli investitori si è attenuato notevolmente dall'inizio del 2021. Il crescente ottimismo seguito alla campagna vaccinale e alle riaperture sta ora lasciando il passo ai timori legati alla variante Delta e alle relative implicazioni politiche ed economiche in tutto il mondo sviluppato. Le previsioni economiche dei commentatori finanziari seguiti dagli analisti di Fisher Investments Italia sono passate da un nuovo boom economico a un rallentamento della crescita, così che molti di loro hanno iniziato a temere la stessa sorte anche per i mercati azionari. Dal nostro punto di vista tuttavia, se osserviamo i dati storici e i mercati del passato, ci accorgiamo che una crescita lenta non rappresenta uno scenario così negativo per le azioni.

Perché Fisher Investments Italia non teme la crescita economica lenta

Iniziamo la nostra analisi dagli Stati Uniti, che dispongono delle serie più lunghe di dati sul prodotto interno lordo (PIL, una misura della produzione economica elaborata dai governi) e sui rendimenti del mercato azionario nel suo complesso. Utilizzeremo i rendimenti in dollari USA dell’indice S&P 500 per evitare sbilanciamenti valutari e osservare meglio i trend. Dai primi dati sul PIL degli Stati Uniti che risalgono al 1930, la media annua del tasso di crescita è pari al 3,2%[i]. Questo dato è corretto per l'inflazione ed include tutti gli anni di recessione e di espansione (si definisce espansione la crescita generalizzata dell’attività economica, mentre le recessioni sono periodi di calo generale). Durante l’intero anno solare nei periodi di espansione, il tasso di crescita annuale è stato inferiore 25 volte alla sua media a lungo termine. Il rendimento medio dell’indice S&P 500 in questi 25 anni? Un buon 10,8%, appena superiore al rendimento annualizzato dell’indice pari al 10,2% a partire dai dati ufficiali che risalgono al 1925[ii]. Il rendimento annualizzato è il tasso di crescita annuo composto che genera il rendimento cumulativo del periodo, e non la media aritmetica dei rendimenti annuali. I rendimenti in questi 25 anni sono stati positivi 19 volte; un ottimo 76,0% dei casi[iii]. Il dato supera la frequenza generale di rendimenti positivi nell’anno solare pari al 73,7% per l’indice S&P 500[iv].

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La maggior parte del XXI° secolo è stata caratterizzata da una crescita più lenta della media negli Stati Uniti, che gli analisti di Fisher Investments Italia ritengono abbia alcune spiegazioni: la prima è che più un'economia cresce, più è difficile generare tassi di crescita sostenuta sebbene in termini di valuta locale il volume della produzione sia in crescita. Ciò per una questione puramente matematica: più alto è il denominatore, più basso è il quoziente anche se il numeratore è maggiore. A nostro avviso, i dati indicano che i mercati azionari statunitensi non se ne sono curati. Nell’espansione economica avvenuta tra luglio 2009 e gennaio 2020, la crescita del PIL nell’anno solare è stata inferiore alla media ogni singolo anno[v]. Eppure l’espansione è stata la più lunga della storia e ha accompagnato il mercato rialzista (un lungo periodo di rialzi generalizzati dei mercati azionari) più duraturo della storia degli Stati Uniti. I rendimenti durante quel mercato rialzista, che è durato negli Stati Uniti dal 9 marzo 2009 al 12 febbraio 2020, hanno raggiunto quota 527,8% (in dollari): un dato sbalorditivo[vi]! Se una crescita lenta porta gli Stati Uniti al più duraturo e pronunciato mercato rialzista in assoluto, ciò significa che non è logico temere il tasso di crescita attuale.

I dati di Europa e Regno Unito raccontano una storia molto simile, a nostro parere. Dal 1970, il PIL del Regno Unito è cresciuto a un tasso medio del 2% l’anno[vii]. La crescita è stata positiva ma per nove volte si è attestata sotto il tasso medio in questo lasso di tempo[viii]. In questi nove anni, il rendimento medio annuo dei titoli azionari del Regno Unito è stato del 9,6% e i rendimenti sono stati positivi nel 66,7% di questi anni[ix], il che non è molto distante dal rendimento medio annualizzato delle azioni britanniche del 10,3% dal 1970 e dalla frequenza di rendimenti positivi nell’anno solare pari al 74,5%[x]. La Francia, la più grande economia dell'Eurozona con dati sul PIL risalenti al 1970, ha avuto 21 ottimi anni pur con una crescita del PIL inferiore al tasso di crescita medio che era del 2,1%[xi]. In quei 21 anni, la media di rendimento azionario in Francia era dell’11,3%, un dato superiore al rendimento medio annualizzato a lungo termine pari al 9,7% dal 1970[xii]. La frequenza di rendimenti positivi negli anni in cui si registra una crescita lenta, pari al 76,2%, è anch’essa superiore alla media a lungo termine della frequenza delle plusvalenze (70,6%)[xiii].

Secondo Fisher Investments Italia, quando consideriamo come funzionano i mercati e cosa il PIL misura realmente, non c’è alcuna evidenza che i titoli azionari risentano di una crescita più lenta. Semplicemente, le azioni e l’economia non sono la stessa cosa, e non lo sono neanche l’economia e il PIL. Il mercato azionario è il valore delle sole società quotate e detenere delle azioni significa avere una quota degli utili societari futuri. Secondo Fisher Investments Italia, questi utili dipendono da fattori economici e dal contesto politico che può influire sulla tassazione, sui diritti di proprietà e su altri elementi che hanno un impatto sulla redditività degli investimenti a lungo termine. Dell’economia più ampia, invece, fanno parte tutte le attività produttive, sia quelle quotate in Borsa che quelle private, incluso il lavoro autonomo e “l’economia informale”. Molte di queste compaiono anche nel PIL ma non tutte, poiché il metodo statistico non considera tutte le varianti del commercio attuale. Le attività dell’economia informale hanno rappresentato per lungo tempo un ostacolo significativo per gli analisti dei dati, sulla base dei rapporti che hanno pubblicato nel corso degli anni. Il PIL non considera la spesa per le importazioni, che rappresentano una grossa fetta delle vendite delle società quotate in borsa. Il PIL include invece tutte le voci di spesa pubblica e gli investimenti come positivi, senza considerare se tali esborsi siano ottimali o se si sostituiscano all’attività economica privata. Ne deriva che, sebbene il PIL si riveli molto utile come misura dei flussi economici, Fisher Investments Italia non crede sia corretto considerarlo alla stregua dell’economia.

A nostro avviso, i mercati azionari comprendono tutto ciò anche se gli investitori in generale tendono a concentrarsi soltanto su titoli e “semantica”. Le nostre ricerche mostrano che i mercati sono lungimiranti e scontano in anticipo e con efficienza le informazioni e le aspettative ampiamente note. Alla luce di ciò, secondo Fisher Investments Italia uno dei fattori in grado di anticipare i rendimenti è il grado di convergenza tra realtà e aspettativa: se la crescita lenta prende tutti alla sprovvista, facendo sì che gli utili si rivelino peggiori delle attese di analisti e investitori, si potrebbero avere effetti negativi sui mercati. In questo caso il sentiment (ottimista) sarebbe distante dalla realtà e porterebbe gli investitori ad assumere determinati comportamenti che avrebbero poi un effetto sui rendimenti. Al contrario, se una crescita lenta non è una sorpresa per nessuno o se questa si rivela migliore delle (basse) aspettative, gli effetti sui mercati potrebbero rivelarsi irrilevanti o persino favorevoli.

In considerazione di ciò, dunque, Fisher Investments Italia ritiene che aspettative basse dei commentatori finanziari equivalgano a buoni risultati dei mercati. Esse infatti mantengono il sentiment contenuto allontanando l’euforia che accompagna solitamente i picchi azionari, e genera un pessimismo diffuso che lascia spazio a sorprese positive. Crediamo infatti che se la realtà si rivela migliore delle aspettative, il mercato continuerà a scalare il proverbiale “muro della paura” i cui mattoni sono i timori diffusi tra gli investitori.

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[i] Fonte: St. Louis Federal Reserve, al 22/09/2021.

[ii] Fonte: Global Financial Data, al 22/09/2021. Rendimento medio annualizzato dell’indice S&P 500, dal 31/12/1925 al 31/12/2020 e rendimento medio degli anni 1947, 1956, 1957, 1961, 1967, 1969, 1979, 1981, 1990, 1993, 1995, 2002, 2003, 2006, 2007 e 2010-2019. Recessioni basate sulle date del ciclo economico della National Bureau of Economic Research, su base mensile. Valori espressi in dollari USA. Le fluttuazioni valutarie tra il dollaro e l’euro potrebbero provocare variazioni al rialzo o al ribasso del rendimento degli investimenti.

[iii] Ibid. Frequenza di rendimenti positivi nell’anno solare nel 1947, 1956, 1957, 1961, 1967, 1969, 1979, 1981, 1990, 1993, 1995, 2002, 2003, 2006, 2007 e dal 2010 al 2019. Valori espressi in dollari USA. Le fluttuazioni valutarie tra il dollaro e l’euro potrebbero provocare variazioni al rialzo o al ribasso del rendimento degli investimenti.

[iv] Ibid. Frequenza di rendimenti positivi nell’anno solare, dal 31/12/1925 al 31/12/2020.

[v]Vedi nota (i).

[vi] Fonte: FactSet, al 22/09/2021. Indice S&P 500 (dividendi reinvestiti), dal 09/03/2009 al 12/02/2020. Valori espressi in dollari USA. Le fluttuazioni valutarie tra il dollaro e l’euro potrebbero provocare variazioni al rialzo o al ribasso del rendimento degli investimenti.

[vii] Fonte: FactSet, al 22/09/2021. Crescita annua del PIL del Regno Unito, dal 1970 al 2020.

[viii] Ibid.

[ix] Fonte: FactSet, al 22/09/2021. Crescita annua del PIL del Regno Unito, dal 1970 al 2020. Rendimenti totali medi dell’indice MSCI UK, in sterline, nel 1982, 1990, 1992, 2011 e 2012, e dal 2016 al 2019, e rendimento totale annualizzato medio in sterline, dal 31/12/1969 al 31/12/2020. Le fluttuazioni valutarie tra la sterlina e l’euro potrebbero provocare variazioni al rialzo o al ribasso del rendimento degli investimenti.

[x] Fonte: FactSet, al 22/09/2021. Crescita annua del PIL del Regno Unito, dal 1970 al 2020. Rendimenti totali medi dell’indice MSCI UK, in sterline, nel 1982, 1990, 1992, 2011 e 2012, e dal 2016 al 2019, e rendimento totale annualizzato medio in sterline, dal 31/12/1969 al 31/12/2020. Le fluttuazioni valutarie tra la sterlina e l’euro potrebbero provocare variazioni al rialzo o al ribasso del rendimento degli investimenti.

[xi] Fonte: FactSet, al 22/09/2021. Crescita annua del PIL della Francia, dal 1970 al 2020.

[xii] Ibid. Crescita annua del PIL della Francia, dal 1970 al 2020. Rendimenti totali medi dell’indice MSCI France in franchi francesi e euro, negli anni 1980, 1981, 1983–1985, 1991, 1992, 1996, 2001–2003, 2005, 2008, 2010, dal 2012 al 2016, 2018 e 2019, e rendimento totale annualizzato medio in franchi francesi e euro, dal 31/12/1969 al 31/12/2020. Le fluttuazioni valutarie tra il franco, l’euro e la lira potrebbero provocare variazioni al rialzo o al ribasso del rendimento degli investimenti.

[xiii] Ibid. Crescita annua del PIL della Francia, dal 1970 al 2020. Rendimenti totali medi dell’indice MSCI France in franchi francesi e euro, negli anni 1980, 1981, 1983–1985, 1991, 1992, 1996, 2001–2003, 2005, 2008, 2010, dal 2012 al 2016, 2018 e 2019, e rendimento totale annualizzato medio in franchi francesi e euro, dal 31/12/1969 al 31/12/2020. Le fluttuazioni valutarie tra il franco, l’euro e la lira potrebbero provocare variazioni al rialzo o al ribasso del rendimento degli investimenti.

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