Curva di Phillips, la relazione tra disoccupazione e inflazione

Nel panorama economico, pochi concetti hanno suscitato tanta discussione e dibattito quanto la curva di Phillips. Originariamente proposta negli anni ’50 da William Phillips, questa teoria postula un legame inverso tra tasso di disoccupazione e inflazione. In termini semplici, quando l’occupazione cresce e la disoccupazione cala, l’inflazione tende ad aumentare e viceversa. Ma come si manifesta questa relazione nell’economia contemporanea? E quali sono le implicazioni per le politiche economiche e monetarie dei governi e delle banche centrali? Nel seguente articolo, ci addentreremo nella storia, nelle sfumature e nelle critiche di questo intrigante rapporto tra inflazione e disoccupazione, cercando di illuminare le complesse dinamiche che animano la curva di Phillips.

Curva di Phillips: relazione tra disoccupazione e inflazione

La Curva di Phillips è uno strumento di misurazione grafica che consente di stabilire una relazione tra disoccupazione e inflazione nel Regno Unito. Questa curva è stata creata dall’economista William Phillips nato il 18 novembre 1914 in Nuova Zelanda.

Curva di Phillips: formula

La formula della curva di Philips è la seguente:

π = πe −h(u−uN),h > 0

Dove:

π = rappresenta l’inflazione

πe= rappresenta l’inflazione attesa

u = il tasso di disoccupazione

h = coefficiente positivo fisso

N = rappresenta invece il tasso naturale di disoccupazione.

La curva di Philips spiegata facile

La curva di Philips deriva fondamentalmente dall’osservazione empirica di Alban William Phillips, economista neozelandese, il quale notò che c’è una relazione inversa fra il tasso di disoccupazione e l’inflazione. Tale osservazione derivava dall’analisi dei dati e delle serie storiche.

Il concetto è di per sé molto semplice: quando varia il tasso di occupazione all’interno di un’economia, variano anche i prezzi. Dall’osservazione dei dati empirici emergeva quindi una curva concava inclinata verso il basso. Da un lato, sull’asse delle Y, abbiamo l’inflazione e dall’altro, su quelle delle X, la disoccupazione.

curva di philips

Il concetto, molto lineare, è che quando si riduce la disoccupazione, aumenta il tasso di inflazione, per il maggiore potere di acquisto che determina anche un aumento dei consumi e quindi della spesa, e quando invece aumenta la disoccupazione, come avviene generalmente in periodi di recessione economica, si riduce l’inflazione, per la minore capacità di spesa.

Per approfondire il concetto di inflazione, e quindi per una migliore comprensione della tematica, ti rimandiamo alla nostra guida completa sul tasso di inflazione.

Curva di Phillips e la critica dei monetaristi

Negli anni “60 e “70 si pensava che qualsiasi stimolo fiscale avrebbe aumentato la domanda aggregata, quindi di conseguenza la domanda di manodopera e di, conseguenza, la curva di Phillips veniva utilizzata come modello di pianificazione monetaria.

Le banche centrali cominciarono a utilizzare una politica che alternava il contrasto all’inflazione con la lotta alla disoccupazione. Durante i periodi di bassa disoccupazione la Fed ha abbassato i tassi di interesse per allentare l’offerta di moneta e mirare a ridurre la disoccupazione. Quando l’inflazione aumentava e il tasso di disoccupazione era ridotto, la Fed alzava i tassi di interesse per ridurre la pressione inflazionistica.

Tale compromesso si è però rivelato instabile sul lungo periodo, in quanto negli anni ’70 l’inflazione e la disoccupazione sono aumentate insieme, determinando un fenomeno noto come stagflazione. Inoltre, mentre la disoccupazione tendeva a diminuire leggermente, l’inflazione continuava ad aumentare, in concomitanza con la crisi petrolifera, arrivando a sfiorare il 12%.

Questi fenomeni storici hanno portato parte degli economisti e a dubitare dall’affidabilità della curva di Phillips e in particolare, secondo i monetaristi, la politica economica sul medio e lungo periodo ha un ruolo sostanzialmente neutro e quindi si diffuse l’idea che la politica monetaria dovesse avere precisi vincoli, rinunciando quindi alla pretesa di influenzare i dati macroeconomici con interventi shock, che rischierebbero anzi di destabilizzare i mercati.

Nel caso avessi bisogno di ulteriori informazioni, ti consigliamo di consultare la Teoria Keynesiana e i libri del creatore della Phillips Curve. Inoltre, ti rimandiamo alla nostra guida su come investire in periodi di stagflazione per approfondire la tematica.

Evoluzione storica della Curva di Phillips

1. Le Origini (1958): La curva di Phillips prende il nome dall’economista neozelandese A.W. Phillips, che, nel 1958, pubblicò uno studio basato sui dati economici del Regno Unito tra il 1861 e il 1957. Phillips osservò che esisteva una relazione inversa tra il tasso di disoccupazione e il tasso di crescita salariale, suggerendo che quando la disoccupazione era bassa, i salari tendevano a crescere più rapidamente e viceversa.

2. L’Adozione Americana (1960s): La teoria di Phillips fu rapidamente assimilata nella macroeconomia americana. Paul Samuelson e Robert Solow, due economisti statunitensi, reinterpretarono la curva di Phillips, collegando il tasso di disoccupazione con il tasso di inflazione piuttosto che con il tasso di crescita salariale. Questa versione modificata suggeriva che un tasso di disoccupazione più basso potesse portare a un aumento dell’inflazione.

3. Il Decennio Problematico (1970s): Gli anni ’70 sfidarono la percezione tradizionale della curva di Phillips a causa dei shock petroliferi e delle politiche monetarie adottate. Durante questo periodo, molte economie avanzate sperimentarono sia alta inflazione sia alta disoccupazione, un fenomeno noto come “stagflazione”. Ciò contraddiceva l’idea di una semplice relazione inversa tra inflazione e disoccupazione.

4. La Nuova Economia Classica e le Aspettative Razionali (1970s e 1980s): Robert Lucas, Thomas Sargent e altri economisti della Nuova Economia Classica criticarono la visione tradizionale della curva di Phillips, argomentando che le aspettative degli individui sul futuro dell’inflazione erano cruciali. Sostenevano che le politiche monetarie prevedibili non avrebbero potuto influenzare il tasso di disoccupazione nel lungo termine, portando al concetto di “curva di Phillips verticale” nel lungo periodo.

5. La Curva di Phillips Neo-Keynesiana (1990s e 2000s): I neo-keynesiani, come Olivier Blanchard e Lawrence Summers, introdussero il concetto di “rigidità dei salari e dei prezzi”, sostenendo che a causa di tali rigidità, la curva di Phillips potrebbe ancora tenere nel breve termine, anche in presenza di aspettative razionali.

6. L’Era Moderna (2010s – Presente): Con l’avvento della crisi finanziaria del 2008 e i suoi strascichi, molte economie avanzate hanno sperimentato bassi tassi di inflazione nonostante la riduzione della disoccupazione. Ciò ha portato ad ulteriori indagini e discussioni sulla validità e la forma della curva di Phillips nel contesto economico moderno.

In sintesi, mentre la curva di Phillips continua a essere uno strumento essenziale nel toolkit degli economisti, la sua forma, la sua validità e la sua applicabilità hanno subito notevoli evoluzioni e dibattiti nel corso degli anni. La comprensione di queste dinamiche storiche è fondamentale per cogliere la sua rilevanza nel contesto economico attuale.

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FAQ

Cosa spiega la curva di Phillips?

La curva di Phillips evidenzia la relazione inversa esistente fra il tasso di disoccupazione e il tasso di inflazione, spiegando che all’aumentare il tasso di disoccupazione si riduce l’inflazione e viceversa.

Quando si sposta la curva di Phillips?

In corrispondenza dell’inflazione prevista la curva si sposta verso l’alto, mentre quando si verifica una coincidenza con l’inflazione effettiva la disoccupazione torna al suo tasso naturale.

Come influenza i salari il tasso di disoccupazione?

Una maggiore disoccupazione comporta una riduzione del livello dei salari, in quanto c’è meno competizione da parte delle imprese per assumere i migliori dipendenti. Al contrario, una riduzione della disoccupazione comporta un aumento dei salari.

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